Proprio l'altro giorno mi chiedevo come può essere che dopo un paio di mesi di trasmissioni ad ogni ora sulla guerra in Ucraina ormai non se ne parli quasi più.....l'orrore non è finito, continua eppure ci siamo abituati, assuefatti, così come ai disastri causati dal cambiamento climatico, dal razzismo, dalle discriminazioni ecc.
La nostra gentilezza amorevole(maitri) si ottunde e finiamo per non provare più compassione per niente e nessuno, l'orrore diventa banale normalità , non ci tocca più.
Stavo pensando a questo e trovo questo articolo di Recalcati che si pone la stessa domanda e incita e continuare a testimoniare l'orrore affinchè non subentri l'assuefazione......se vi va di leggerlo.
Massimo Recalcati
Testimoniare l’orrore
La Stampa, domenica 31 luglio 2022
Un amico oncologo mi raccontava il suo stupore nel non sentirsi più di tanto coinvolto nei drammi
dei suoi pazienti di fronte alla malattia. «Il tempo - mi spiegava - è come se avesse disattivato le mie
emozioni». Accade anche con ogni esperienza di lutto: il fattore tempo è determinante per spegnere
il bruciore inizialmente insopportabile della perdita. «Impossibile continuare senza, ma impossibile
non continuare senza», scriveva Beckett. Ma quello che avviene nelle pieghe più intime della nostra
vita privata si ripete anche nella dimensione pubblica della nostra vita collettiva. Un esempio fra tutti
è quello della guerra in Ucraina. Le maratone televisive e i servizi giornalistici febbrili dei primi tempi
hanno lasciato il posto ad una informazione tristemente routinaria. Della guerra in sé si tende a non
parlare più, a non dedicarvi più la nostra attenzione se non per le conseguenze dirette che essa provoca
sulle nostre vite: aumento delle bollette, caro vita, maggiore precarietà economica e sociale, futuro
incerto. È scattato quel meccanismo di assuefazione psichica che ha coinvolto anche il mio amico
oncologo.
Freud ne parlava proprio a proposito della guerra e dell'indifferenza alla quale essa costringe gli esseri
umani di fronte ai numerosi cadaveri anonimi che genera quotidianamente. Il peso emotivo che la
vista del cadavere di una persona affettivamente cara può provocare sembra scomparire.
L'assuefazione è l'effetto di un distanziamento psichico finalizzato alla neutralizzazione di un fattore
giudicato perturbante. Ma, in realtà, questo distanziamento è, a sua volta, l'effetto di un'eccessiva
prossimità inconscia all'oggetto dell'angoscia. Accade anche allo psicoanalista che quotidianamente
è esposto all'incontro con la sofferenza dei suoi pazienti. Lacan, non a caso, paragonava la sua
funzione a quella di una discarica: raccogliere ed evacuare il peggio, il negativo, l'insopportabile. Il
fenomeno dell'assuefazione è un fenomeno di difesa dal trauma: l'abitudine vorrebbe poter ridurre lo
scandalo - indigeribile psichicamente - di ciò che accade. Avviene anche di fronte alla violenza di
ogni genere: anziché restare storditi, colpiti, offesi dalla brutalità e crudeltà del male, esiste
nell'umano un'insidiosa tendenza all'adattamento, all'assimilazione di ciò che non può essere affatto
assimilabile. Avviene con la fame nel mondo che più che una piaga che mobilita il dovere civile del
soccorso, viene percepita come se fosse una fatalità naturale. Avviene con la violenza razzista, con
quella femminicida, con gli incidenti sul lavoro e in tante altre occasioni della nostra vita collettiva.
Come indicano diversi antropologi, la nostra civiltà dello spettacolo tende a trasformare ogni evento
in una sorta di apparizione televisiva o cinematografica, destinata a scadere di interesse in tempi
sempre più brevi per gli spettatori annoiati dal "già visto", quali, in fondo, tutti noi tendiamo ad essere.
La guerra in Ucraina resta un evento in sé al limite del concepibile, indigesto, scandaloso, ma il
sistema della comunicazione sa bene che il carattere eccezionale di tutti i fenomeni che divengono
oggetto assiduo di informazione tende a durare sempre di meno, dunque, a generare meno audience.
L'assenza di risposta allo stimolo è infatti un fenomeno comportamentale tipico di ogni fenomeno
dell'assuefazione. Ora, dopo il tempo della guerra, è il turno della campagna elettorale a polarizzare i
nostri interessi. È quello lo spettacolo che ha inevitabilmente calamitato l'attenzione dei media. Col
rischio però che vi sia assuefazione anche nei confronti della nostra vita politica. Non a caso
assuefazione e disaffezione, come mostra il fenomeno dell'astensionismo elettorale, possono essere
due facce della stessa medaglia. Eppure cosa c'è di più coinvolgente – in senso letterale – della vita
politica? I nostri interessi personali e collettivi ne sono profondamente toccati. Ma questo dato di
realtà non è sufficiente e rischia di non essere nemmeno percepito. Accade lo stesso con una guerra,
che nonostante sia esplosa nel cuore dell'Europa, non è in grado di disinnescare il fenomeno
dell'assuefazione. Assuefazione diviene infatti sinonimo di assimilazione; il carattere indigeribile
della guerra viene rimosso rendendo la guerra parte del nuovo paesaggio dell'Europa. Sembrerebbe
inverosimile ma è proprio quello che sta accadendo. Del resto, in pagine divenute giustamente celebri,
Primo Levi, parlando della tragedia della vita nei campi di sterminio, mostra quanto la spinta
dell'umano all'adattamento in condizioni di vita inverosimili possa raggiungere vertici tenebrosi. Per
questa ragione ammonisce sulla necessità di testimoniare con tenacia l'orrore, per impedire che esso
si ripeta e per scongiurare anche il rischio di assuefarsi alla sua esistenza. È, infatti, solo la
testimonianza insistita dell'orrore a riconoscere l'orrore come tale impedendo la sua assimilazione
assuefatta. —