martedì 19 aprile 2022

 Oggi sotto il sole ,dolcissimo e inclemente, di questa stupenda giornata di aprile , mi sono guardato le mani poggiate in grembo: le vene in rilievo, la pelle non più tesa. mani invecchiate e/o che stanno invecchiando.

Non ho voluto andare allo specchio, tanto sapevo cosa avrei visto : un uomo attempato.

Non so dare nome alla sensazione provata, un misto di sgomento e serenità, di paura e accettazione , un guazzabuglio di sensazioni che ho lasciato scivolare nella spaziosità dell'essere.

Strana cosa ritrovarsi vecchi nel corpo quando lo spirito è ancora "giovane", niente di nuovo, lo sperimentano quasi tutti, nulla di particolarmente originale, solo che ora lo stai sperimentando tu!

La vera domanda pero è: ho speso bene i miei anni?  Li ho vissuti degnamente?

Su questo è meglio che mi prenda un attimo prima di rispondere perchè, come tutti( anche in questo nessuna originalità) , ho i miei rimpianti e i miei : se avessi.....

La vita è così, sono passaggi che tutti dobbiamo affrontare, più o meno attrezzati,  per poi andare oltre.....

sabato 16 aprile 2022

 


Ed ecco che torna Pasqua, con tutti i suoi simboli di rinascita ,di vittoria sulla morte ecc.,festa primaverile che sancisce la fine dell'inverno e il ritorno dello slancio vitale della primavera.....

Che questa Pasqua porti un vero rinnovamento nei cuori e nelle menti ,  mi auguro  che la vita vinca sui venti di morte e di guerra, che tutti ritroviamo un minimo di serenità ed equilibrio.

venerdì 8 aprile 2022

 Mi ha dato molto sollievo scoprire negli scritti del Buddha che noi

siamo fatti di terra, acqua, fuoco, aria, e spazio. Cinque elementi che

combinandosi e danzando fanno un corpo che respira, che pensa, sogna,

ama, nasce e muore. Morire fa sí che il fuoco torni al fuoco, l’acqua

all’acqua, l’aria all’aria, la terra alla terra e lo spazio allo spazio.

È anche molto rasserenante percepire in sé i cinque elementi. Seduti,

camminando, in piedi o sdraiati possiamo chiudere gli occhi e sentire la

solidità, la densità, l’estensione, il limite, la resistenza: il nostro essere

terra. Oppure la fluidità, la connessione, la flessibilità, la forma: essere

acqua. O quel nostro improvviso accenderci in un respiro o in un passo,

vitalità, impulso, luminosità, calore: siamo fuoco e aprendo gli occhi

mettiamo il mondo a fuoco. La leggerezza, la fugacità delle sensazioni, le

variazioni, i cambiamenti repentini, le vibrazioni, l’essere toccati e

sfiorati da milioni di sensazioni: è l’aria che vive in noi. E infine siamo

spazio: apertura, spaziosità, dove tutto è ignoto e possibile. La coscienza

che contiene l’universo. La disposizione a restare aperti e presenti, a

riposare nella vastità. Vasti nel vasto.

Un giorno tutti gli elementi torneranno alla fonte. Cosa resterà di

noi? Una bella domanda da tenere in tasca al cuore.

Chandra Candiani

P.S.

continuo a postare cose altrui di indubbio valore anche perchè vedo che quando posto pensieri miei non li legge nessuno, mentre questi vengono visualizzati in modo significativo

 Andare oltre la paura! 

 La paura è l’emozione negativa che sorge d’istinto dentro di noi a

seguito delle informazioni di pericolo captate dalla mente. Essa genera

in chi la prova tre possibili reazioni: 1) la difesa e la conseguente

aggressività; 2) la fuga; 3) l’immobilizzarsi come pietrificati. Questo è

quello che pensiamo noi della paura, ma per gli antichi essa era

molto di più: era un dio o era mandata da Dio, e per questo occorreva

averne rispetto, riverenza, «timore e tremore» ammoniva Paolo di

Tarso. Si legge nell’Iliade: «Ares massacratore marcia alla guerra, e lo

segue suo figlio, Phobos intrepido e forte, che incute paura persino al

guerriero più impavido» (XIII, 298-300). Phobos, da cui fobìa, è la

personificazione della nostra paura, del nostro terrore. In un’iscrizione

votiva di Selinunte del V secolo a.C. egli è posto subito

dopo Zeus e prima di tutti gli altri dèi, mentre nella bellicosa Sparta

vi era persino un tempio per il dio della paura.! !

Se poi consideriamo l’altra sorgente della cultura occidentale e

apriamo la Bibbia ebraica, quasi in ogni pagina ci imbattiamo in

un’atmosfera segnata dalla paura, termine che ricorre spesso nella

Bibbia e che unito ai sinonimi come timore, terrore, spavento, angoscia,

ansia, sbigottimento, preoccupazione, inquietudine, orrore, arriva

a rappresentare una costante incombente. Non solo: nella Bibbia

la paura è tanto maggiore, quanto più prossima è la presenza di Dio.!

Così per esempio il libro della Genesi fa dire a Giacobbe: «Certo, il

Signore è in questo luogo e io non lo sapevo», annotando che poi

Giacobbe «ebbe paura e disse: Quanto è terribile questo

luogo!» (Genesi 28,16-17). La paura è un ingrediente indispensabile

di ogni teofania, non a caso le prime parole rivolte agli umani sono il

più delle volte “non temere”, come disse l’arcangelo Gabriele a

Maria, parole che hanno senso solo se prima c’è appunto, istintiva, la

paura.! Ma cosa vuol dire che la paura è un dio, come afferma il politeismo

greco, o che è strettamente associata alla presenza divina, come

afferma il monoteismo ebraico? Vuol dire che essa è più potente di

noi umani, e che però al contempo ci attrae. Se fosse solo più potente

senza esercitare attrazione sarebbe un mostro, un titano, un demonio,

non un dio. Invece no, essa ci spaventa e insieme ci attrae, secondo la

dialettica del divino individuata un secolo fa da Rudolf Otto: mysterium

tremendum e mysterium fascinans, cioè qualcosa di più grande

di fronte a cui tremiamo e di cui al contempo subiamo il fascino.

Quando si parla di “divino”, ben prima di tutte le discussioni

teoriche sull’esistenza o non esistenza di Dio, è esattamente questa

esperienza contraddittoria che si porta al pensiero. Perché una cosa è

sicura: Dio può anche non esistere, ma che esista il divino (l’immenso

mistero dell’essere di cui siamo fatti che ci fa vivere e morire) è fuori

discussione. Lo manifesta la paura (Phobos), così come l’amore

(Afrodite), la guerra (Ares), la natura selvaggia (Artemide), il potere

(Zeus), l’arte (Apollo), la medicina (Asclepio) e tutte le più vive esperienze

vitali. Noi dalla paura siamo spaventati, ma al contempo ne

siamo affascinati: non si spiegherebbero altrimenti le produzioni culturali

e di intrattenimento che fanno leva su questa emozione, a partire

dai thriller e dall’horror, e prima ancora dalle antiche favole che

tanto spavento volevano suscitare nei bambini con la strega, la regina

cattiva, il lupo, l’orco e tanta violenza. Forse anche questi giorni così

difficili all’ombra cupa del coronavirus contengono una lama di fascino

ambiguo, per cui abbiamo sì tutti paura ma al contempo proviamo

una specie si tensione emotiva, per non dire eccitazione.!

Siamo al cospetto della carica rivelativa contenuta in quelle esperienze

di confine che Jaspers denominava “situazioni limite”. Ma se

la paura è un dio, come ci si comporta al cospetto di un dio? Il dio,

anzitutto, lo si teme. E in questo timore, che non è terrore ma senso

delle dimensioni, si acquisisce sapienza. Sta scritto infatti: “Principio

della sapienza è il timore del Signore” (Proverbi 9,10). Sull’architrave

del tempio di Delfi era incisa la massima che tanto impressionò

Socrate: “Conosci te stesso”. Sembra che in origine si trattasse di un

ammonimento a ogni fedele perché non avesse mai a dimenticare la

sua condizione mortale: conosci te stesso, cioè la tua fragilità, il tuo

essere destinato a finire. A partire da Socrate la massima venne però

intesa come un’esortazione ad approfondire la nostra natura, questo

mistero di un pezzo si materia che si scopre radicalmente diverso da

ogni altro pezzo di materia e da ogni altro vivente in quanto abitato

da vita interiore, emozioni, sentimenti, sapere, ideali. Così l’ammonimento

delfico Conosci te stesso prese a trasformarsi in una domanda:

Io, chi sono? In quanto essere umano, cosa sono? La risposta che

diede Socrate e con lui l’Occidente fu: tu sei la tua anima. Il termine

“anima” dice la nostra interiorità, quella stessa dimensione che ci fa

provare paura, ma anche passione, fremito, amore. Si potrebbe anche

dire che noi siamo il nostro cuore. Ed è proprio dal termine latino per

cuore, cor, che viene “coraggio”, l’antidoto della paura.!

Coraggio significa azione del cuore. Esso non è il contrario della

paura, perché la suppone; esso è il superamento della paura, perché

la vince. Senza paura non si può avere coraggio, si ha temerarietà,

ovvero sconsideratezza e ignoranza perché si ignorano le preziose

informazioni che provengono dall’emozione della paura. È solo

avendo paura che si può generare l’azione del cuore detta coraggio.!

Il contatto con il pericolo ci può far comprendere chi siamo: siamo

una mente impaurita, è vero, ma possiamo essere anche una mente

che discerne tale paura e legge le sue informazioni, e giungere a essere

un cuore che supera la paura mediante il coraggio, cioè l’azione

disciplinata e intelligente che non ignora i pericoli della realtà ma

proprio per questo li sa riconoscere e sconfiggere.! !

Vito Mancuso,

martedì 5 aprile 2022

 

La speranza , anche laddove pare la speranza sia morta.....questo mi ispira la foto che arriva dalla martoriata Ucraina.

Noi umani siamo in grado di compiere ogni male, dalle minime meschinità ai grandi abomini, ma sappiamo anche sperare l'insperabile, rinascere dalle crisi peggiori , essere resilienti.

Nel Buddhismo si parla di :preziosa nascita umana, perchè solo nella forma umana è possibile l'illuminazione/liberazione....chissà, forse il cane della foto, sopravvissuto ai bombardamenti come la padrona, è assolutamente illuminato.....

Che quel fiore piantato in un copertone sotto i palazzi distrutti tocchi il nostro cuore/mente e ci guidi verso una maggiore saggezza, come il famoso fiore del Buddha!


lunedì 4 aprile 2022

 

Il Natale di Elvis

Mi chiamo Elvis. Sono un asino. Sì, un asino e allora? Veramente sul documento di nascita ero Ugo. E allora perché mi chiamano Elvis? Che ne so! Perché raglio forte e strampalato, tipo rockettaro? Che ne so!

Qui fa un freddo biscia. Sto in un recinto da solo. Perché? Perché sono Elvis, sono cattivo.

Hanno chiesto a me di raccontarvi una storia di Natale. Perché, voi lo sapete com’è il Natale di un asino? Il padrone viene più tardi, si dimentica di metterti l’acqua fresca, ti porta il fieno che magari è pomeriggio, dal sentiero non passa nessuno, manco un mezzo umano che ti venga a fare un saluto e ti porti un tozzo di panino secco. Si sentono campane, risate, battimani, si vedono fumare i comignoli. Qualche botto perfino. E io me ne sto qui a vagolare nel recinto, certe volte ficco la testa nei cespugli, dalla vergogna, mi nascondo al mondo. 

 

Beh, la storia è questa: qui da queste parti c’è una specie di bambina con le rughe e una faccetta un po’ strana, un po’arrabbiata e un po’ disperata, cammina sempre da sola per i boschi e prima, ogni volta che passava di qui, mi veniva a trovare. Entrava proprio nel recinto, e mi portava cime di rapa, gambi di cavolfiore, buccia di rapa bianca o in estate foglie di robinia, erba fresca e trifogli, insomma roba buona, ricercata. Poi mi accarezzava, ci si parlava, lei mi abbracciava perfino. Io mai! E beh, c’è un limite a tutto: sono Elvis, l’asino cattivo, quello isolato dal padrone che gli dà le bacchettate in testa e sulle orecchie. Sono Elvis il rockettaro, che raglia che lo sente mezza valle e i cinghiali scuotono la testa e i caprioli scappano con la coda che trema. 

 

Beh, questa bambina con le rughe, che poi si chiama Chandra e le ho sentito dire che vuol dire luna, che gusti hanno gli umani, dolciastri e anche un po’ vanitosi: luna … sarà alta un metro e mezzo e crede di starsene in cielo con le stelle!? Cretina … Vabbè, però io a questa qui le volevo quasi bene, perché comunque non aveva paura di me e mi portava cose buone e parlava tenero. 

Un giorno è arrivata, mi ha dato un po’ di foglie dure del cavolo, il cavolo verdura, non per dire foglie del cavolo di rabbia. Poi mi accarezza, mi parla e mi fa: “Elvis, ma sai che assomigli un po’anche a un lupo tu?!” Beh in effetti, io ho pelo grigio, occhi intelligentissimi, muso allungato e poi ho un cuore coraggioso da paura. Così quando ha detto: “Adesso vado,” mi è montato in testa di farle la recita del lupo.

 

Ritratto durante una pausa del viaggio, Riccardo Paracchini.

 

Ho tirato indietro le orecchie e sbattevo i denti, per farle una fifa blu. Niente, lei diceva: “Elvis, vieni fino al cancello, accompagnami che vado.” Non ci ho visto più! Le ho preso un braccio e l’ho tenuto nella morsa dei miei denti, ma forte eh!? Allora mi ha fatto paura: non mi ha pestato, non ha urlato, solo, tirava il braccio tutta meravigliata. “Ma questa bambina è veramente pazza!” ho pensato e ho mollato la presa. Solo che ho sentito dire che dopo aveva tutto il braccio blu e dei punti duri duri sottopelle. Mi fa ridere, mi fa proprio ridere. Aveva una giaccaventina rossa, si è salvata così.

 

Beh, per un po’ non si è vista più. Poi, non è rispuntata? In piedi, vicino alla rete, mi ha guardato e io da lontano guardavo lei, negli occhi, ma silenzio. Tutti e due silenzio. 

È tornata un altro giorno, un giorno chiaro. Mi ha guardato e mi ha detto: “Elvis, tu lo sai che mi hai fatto male.” Non me l’ha chiesto, l’ha detto. A me questa cosa di non mettere il punto di domanda, di sapere che io sapevo mi è piaciuta, mi ha anche fatto sentire che sono uno tosto ma che con lei … Allora mi sono chinato due volte, giù con il muso a terra e ragliavo strano, ragliavo per dirle delle cose che non voglio dire a nessun altro e con la zampa sinistra mi sono coperto un occhio. Lei ha detto: “Ti perdono Elvis.”

È ricomparsa il giorno dopo, con una ruga in più tra le sopracciglia, doveva aver pensato tantissimo e magari al freddo. Si è avvicinata alla rete senza entrare e mi sono avvicinato anch’io.

 

Perché adesso il mio padrone ha chiuso il cancello con uno spago che così lei capisce che non deve entrare più da me e le ha anche tenuto il muso il mio padrone, a lei, perché l’aveva avvertita che sono cattivo e adesso non vada mica in giro a fare la vittima. Beh, eravamo vicini alla rete e lei dice: “Elvis, ti ho perdonato, ma volevo chiederti scusa anch’io perché ho valicato un confine, mi hai insegnato la distanza. Scusami.”

Adesso la vedo ogni tanto, mi porta anche da mangiare, ma non entra più nel recinto, per lo spago certo, ma non solo, quella è un tipo che spaghi e padroni mica la fermano. Certe volte, sento anche che passa e non mi chiama. La distanza. Che cosa pungigliosa è la distanza. 

E la storia finisce così, mi farò il vostro Natale zuccheroso da solo, il Natale degli asini è così, dell’asino Elvis, poi è anche in isolamento. La distanza. Lei ha imparato la distanza, ma cosa ho imparato io?

Tenetevi il Natale che io mi tengo i miei pensieri e magari quella bambina con le rughe passa e mi saluta e mi porta una buccia di rapa o magari no. 

sabato 2 aprile 2022


 invitandovi a leggere il suo libro......

"Ho una sensazione strana e per me davvero inedita: mi sento adatta a
questa epoca. Proprio questa, con la pandemia, il crollo economico, la
politica miserabile, la confusione, l’assenza di sogni sul futuro, le tessere
del domino che, cadendo, trascinano tutte le altre: proprio a questa mi
sento adatta. Questa, con la fame, la fuga dalla guerra e dalla violenza,
per incontrare naufragi, altra violenza, rifiuto, indifferenza. Questa, dove
la natura si allontana da noi, gli animali si estinguono, gli alberi vengono
abbattuti, il pianeta si riscalda e il clima si scombina. Le persone
disimparano a parlarsi e ascoltarsi. Tutti sono offesi di qualcosa. Tutti
sono in credito. Tutti si sentono vittime e le vittime vere annaspano e
muoiono silenziose, o si affannano per scampare e non si sa come
andranno a finire. Mi sento adatta. Perché lo so da sempre che finiva
cosí con gli alberi e gli animali, lo sentivo da bambina il loro orlo del
baratro, il loro abitare in costante pericolo, essere solo merce, vivi solo
per appartenere a un’altra specie, per servirla.
E perché ho conosciuto proprio all’inizio il peggio dell’umano e ho
passato la vita a ricucire brandelli di fiducia perduta, a cercare di
orientarmi in un mondo disorientante, tra parole taciute e altre
menzognere, nella follia che era solo eccesso di dolore e tentato
esperimento con la verità, nella normalità che era regole fisse e non
scritte, rigori non condivisi, esclusioni arbitrarie, forme e stili dettati dai
prepotenti per far sentire inadeguati tutti gli altri. E la proibizione di
parlare per le voci diverse, per le diverse forme di mutezza.
Ora tutto crolla. Ma cosa crolla? Quello che stava in piedi solo sulle
spalle e sulle schiene di altri, umani, animali o vegetali che fossero. E le
parole sono esangui o invelenite, ma hanno comunque perso i sensi.
Sono adatta. So come stare al mondo, questo mondo a pezzi. Lo so
senza saperlo.
So come far sentire a casa qualcuno. Come ascoltare senza consolare. Come inchinare il cuore insieme al corpo. Come celebrare i
bambini e la loro preveggenza. Lo so perché non so niente. Come
allargare le braccia e accogliere. Come tenerle lungo il corpo e accogliere.
Come vivere in punta di piedi. Come vacillare. Lo so perché ho iniziato
la vita con il non essere accolta. So grazie al dolore. E quello che so è:
«Non cosí». E obbedisco. Conosco il tempo arso dell’emergenza e la
fierezza senza centro con cui la natura raccoglie i lembi della distruzione
e continua i cicli del nascere-morire-rinascere.
Ho preso una decisione: diventerò una persona serena. Hanno riso
tutti: non si può diventare sereni. Può darsi, ma lo farò lo stesso. Non
concederò piú tempo alle voci che profetizzano solo il crollo senza
sentire la necessità di cadere per potersi rialzare. Non ascolterò le voci
che dicono: «Andrà tutto bene». Non ascolterò chi affonda il cuore e chi
lo fa levitare. Anzi, ascolterò senza credere. Starò con il male come male,
senza infiorarlo né velarlo, lascerò che passi in me come una tempesta e
gli domanderò cosa sente, perché percuote furiosamente tutto, perché
non si lascia ascoltare. E ho un’indomabile fiducia. In cosa? Non lo so, è
senza nome "(chandra Candiani)

venerdì 1 aprile 2022

 "Una buona pratica, preliminare a qualunque altra, è la pratica della

meraviglia. Esercitarsi a non sapere e a meravigliarsi. Guardarsi attorno e

lasciar andare il concetto di albero, strada, casa, mare e guardare con

sguardo che ignora il risaputo e vede ora.

La pratica della meraviglia è una pratica che cura anche il cuore piú

ferito della terra." Livia Chandra Candiani

Oh sì, meravigliarsi, stupirsi , essere grati......non è solo una pratica preliminare, è il cuore della pratica.

Oggi  mi sono meravigliato della grandine che, improvvisa. ha sferzato il prato anche se un raggio di sole filtrava fra le nuvole , la meraviglia è tutto, se la perdiamo rischiamo di sopravvivere a noi stessi, senza più vivere.

 vangelo 9