domenica 29 novembre 2020

" Solo così, io penso, si può pervenire a fronteggiare la

paura di vivere e di morire, a trasformare se stessi, ad accedere alla vera

felicità attivando l’umano nell’uomo. Il che significa che il lavoro effettivo

lo deve compiere ognuno nella propria interiorità facendo scaturire da

dentro di sé il maestro più importante di tutti: il maestro interiore, il quinto

maestro, o magari la quinta maestra, facendo del femminile la nuova

sorgente della vita etica e spirituale."

Così scrive Vito Mancuso alla fine del suo nuovo libro  :I Quattro Maestri, in cui presenta Socrate,Buddha, Confucio e Gesù e alla fine pone un capitolo: Il Quinto Maestro, in cui parla della nascita del Maestro interiore.

Attivare l'umano nell'uomo è un buon modo per descrivere il disvelamento della nostra Natura di Buddha, della nostra essenza di illuminazione , è un percorso di spoliazione, per togliere tutto ciò che copre e nasconde la luminosità della nostra natura primordiale. 

I miei insegnanti non smettevano di insistere che non ha alcuna importanza il Buddha storico o i Buddha fuori di noi, Buddha è uno stato ,non un soggetto.

Buddha, cioè risvegliato, è un modo di essere, è la stato originale dell'essere ,in tutte le sue forme.....la Vita è Buddha! A differenza di altre tradizioni noi non abbiamo uno spirito di imitazione o sequela, non dobbiamo  seguire o scimmiottare nessuno, dobbiamo diventare pienamente umani e totalmente noi stessi.Mancuso butta lì una provocazione interessante: il femminile come sorgente di vita spirituale, qualcosa di nuovo nell'ambito Cristiano, ben conosciuto nella tradizione Tibetana ove il risveglio del femminile e la sua integrazione è alla base della pratica tantrica.

Tutte le meditazioni con Yidam femminili : Tara,Vajrayoghini, Palden Lhamo ecc. sono connesse con il risveglio del femminino, dell'anima, per usare termini Jughiani.

Integrare il maestro e la maestra interiori, (yabyum ) è dare nascita all'energia dell'illuminazione.

Non siamo chiamati ad essere Buddhisti( questo vale per i Cristiani, gli Islamici, i Giudei) ,ma a essere Buddha, cioè risvegliati alla natura della Vita.

Riconoscere che ,come disse il Buddha storico, "dobbiamo essere luce a noi stessi" è fondamentale, perchè ci libera dai legami di appartenenze e dogmatismi, aprendoci alla possibilità di imparare da tutto e tutti ,perseguendo il risveglio della nostra vera natura.

Suzuki Roshi diceva che dobbiamo inchinarci a cani e gatti....e imparare da loro, quindi ascoltiamo i quattro maestri, ma anche tutti gli altri che incontreremo, di persona e nei libri, ma poi cerchiamo di risvegliare quello interiore, l'unico che può renderci autenticamente liberi, umani e risvegliati


sabato 28 novembre 2020

 



Ecco una conferenza di Vito Mancuso....molto interessante e condivisibile. Credo contenga vari stimoli di grande valore

giovedì 26 novembre 2020

 Voglio regalarvi un'emozione con una vecchia canzone del buon Mingardi, che ha  un testo sempre bello e profondo

Quando tutto va storto e aspetto

Il carro attrezzi
In mezzo all'autostrada, col cofano che fuma
Quando è caldo e non ho nemmeno voglia
Voglia di pensare
E tu sei qui e mi dici cose che non mi interessano
Datemi della musica.
Quando pensi che forse questo
Potrebbe essere il tuo ultimo tramonto
E che in fondo non è poi tanto importante avere più soldi
Che i muscoli del tuo corpo scattano ancora bene
E i tuoi occhi vedono lontano
Oltre la pazzia della gente
Datemi della musica.
E la sera se non basterà bere
Per non vedere più facce di avvoltoi
E la notte quando tutte le paure mi prenderanno come una ventata gelida
E al mattino dopo che il mondo avrà sbadigliato le sue brutture
Datemi della musica.
E quando mi caleranno quattro amici con gli occhi rossi
E un pugno di terra cadrà sul mio vestito di legno
Quando perso nell'universo
Come un atomo impazzito rientrerò nel circuito misterioso della vita
Datemi della musica
Datemi della musica

sabato 21 novembre 2020

 

Esce oggi , dopo decenni di attesa, ODISSEA di Nikos Kazantzakis, una delle opere più importanti del 900 europeo, mai tradotta prima in italiano.

E' un poema di 700 pagine in cui si immagina i viaggi di Odisseo, dopo il ritorno ad Itaca, un libro di profonda spiritualità, poesia e creatività , di importanza fondamentale.

Certo non è una lettura facile, ma ne vale la pena!

La Morte viene a coricarsi al fianco di Ulisse;
ha vagato tutta notte e ha le palpebre pesanti,
vuole stendersi in riva al fiume con il vecchio amico
all’ombra dell’agnocasto, dormire anche lei un poco;
posa lievemente le mani ossute sul petto dell’Arciere,
e così avvinta la valorosa coppia si addormenta.
Dorme la Morte, e sogna che esistano uomini vivi,
che sulla terra s’innalzino case, palazzi e regni,
che sorgano giardini fioriti, e che alla loro ombra
passeggino donne nobili e cantino le schiave.
Sogna che sorga il sole, e che la luna illumini,
che giri la ruota della terra, e che ogni anno porti
erbe e fiori, frutti d’ogni sorta, piogge dolci e neve;
che la ruota giri ancora, e che la terra si rinnovi.
La Morte ride di nascosto, lo sa ch’è solo un sogno,
vento multicolore, fantasia della mente stanca,
e tollera imperturbabile che l’incubo la assilli.
Pian piano la vita si fa sfrontata, la ruota prende slancio;
la terra avida apre le viscere alla pioggia e al sole,
infinite uova si schiudono, il mondo brulica di vermi;
si muovono folti eserciti, uomini, uccelli, fiere,
e pensieri, si avventano per divorare la Morte.
Una coppia di umani si rannicchia nelle sue nari,
accende il fuoco e lo attizza per prepararsi il pranzo,
e sul suo labbro appende la culla del neonato.
Ha un solletico sulle labbra, formicolano le nari,
la Morte si scuote all’improvviso e svanisce il sogno.
Nel sonno fulmineo ha avuto un incubo: la vita.

Canto VI, 1265-1292

giovedì 19 novembre 2020

 "Il tempo scorre veloce quando

si invecchia perché, di regola, si ripete sempre uguale. Le possibilità di

scegliere si riducono, le vie sbarrate si moltiplicano, fino a quando tutto

pare ridursi a un unico, piccolo sentiero. Non hai voglia di pensare a dove

conduce, quel sentiero, e questo produce un’anestesia della coscienza. Aiuta

ad attutire la paura della morte, ma sbiadisce i colori".(G.Carofiglio)

Altra analisi precisa e tagliente di Carofiglio, che descrive in modo impietoso una meccanismo mentale ben conosciuto.

Il problema è, possiamo evitare questo sbiadire dei colori? Possiamo non anestetizzarci di fronte alla paura della morte ma guardarla in faccia con coraggio?

Nella tradizione Tibetana(come in altre) si parla del sentiero spirituale come la : via del guerriero, perchè l'essenza della pratica è stare con tutto ciò che c'è , vita e morte, senza farsi sopraffare dalla paura e dal desiderio di fuga.

Non pensiamo che solo la morte ci terrorizzi, spesso è insopportabile anche la vita e cerchiamo in mille modi un nido in cui sentirci protetti, spesso ci avviciniamo alla spiritualità sperando che sia quel nido.

Sicuramente non lo è l'approccio del Buddha, che ci spinge a vivere e morire in pienezza, non a metterci in stand-by in attesa di una vita futura  o di indicazioni da esseri superiori....Dobbiamo assumerci totalmente la responsabilità di noi stessi, come disse Hirata Roshi :" se anche un Dio ci fosse, avrebbe cose più importanti da fare che preoccuparsi delle nostre piccole faccende, in qualche modo avrebbe già fatto la sua parte e ora tocca noi".

Solo se ci educhiamo ad una totale responsabilità e a un atteggiamento coraggioso, potremo arrivare al quel piccolo sentiero finale senza troppi rimpianti e pronti a non anestetizzarci ,ma cercando di goderci tutti i colori fino alla fine.

Marguerite Yourcenar faceva dire al protagonista dell'OPERA AL NERO : "voglio entrare nella morte  con gli occhi aperti", ecco, questo è il giusto atteggiamento, il modo coretto di approcciarsi alla fine.

Troppi si abbandonano all'anestesia o rimangono paralizzati a fronte dell'ultimo sentiero, cerchiamo di non farlo anche noi e di cercare di godere pienamente di ogni cosa fino all'ultimo, ogni singolo colore va apprezzato in tutta la sua bellezza in piena gratitudine , non lasciamolo sbiadire nell'inconsapevolezza.

lunedì 16 novembre 2020

L’esperienza ci mostra una quantità di forme in cui ci si sottrae al celibato con rapporti immaturi o non chiari all’interno della comunità. Rapporti privilegiati che legano psicologicamente e affettivamente e che portano a complicità, ma anche a dipendenza, a essere succubi l’uno dell’altro. Pensiamo a quelli che potremmo chiamare “cripto-innamoramenti” in cui uno assume modi di fare e di dire di un altro perché il suo cuore e la sua mente ne sono incantati. Rapporti che avvengono di nascosto, essenzialmente col ritrovarsi a parlare e a sparlare di altri senza farsi vedere. Oppure si riscontra l’infantilismo relazionale e affettivo incapace di dare profondità agli incontri, o ancora il restare in una postura affettiva adolescenziale trascinata per decenni. La maturità relazionale riguarda gesti e parole, corpo e discorso. Si pensi agli sguardi che furtivamente si cercano o alle parole negate ad alcuni ed effuse in sovrabbondanza con qualcun altro. O al mutismo in pubblico e alla logorrea in privato."(Luciano Manicardi)

Qui Fratel Luciano parla delle immaturità relazionali all'interno della comunità monastica, che certamente è un amplificatore delle nostre debolezze, ma il discorso vale per tutti, indistintamente.

Quante volte cadiamo nei "cripto-innamoramenti" o negli innamoramenti veri e propri , diventando fusionali? Quante volte cerchiamo lo sguardo altrui o invece neghiamo lo sguardo e la parola? 

Le immaturità relazionali non sono un "privilegio" dei monaci, è una costante umana, la differenza è che ,forse, nell'ambiente monastico sono più facilmente smascherabili.

Nel nostro quotidiano siamo spesso inconsapevoli delle nostre immaturità, le nascondiamo a noi stessi e agli altri sotto mille maschere, mille impegni , rifuggiamo la presa di coscienza dei nostri limiti che risulterebbe faticosa e dolorosa.

Non so se vi siete mai chiesti quanto siete amici di voi stessi e quanto ,realmente, siete in grado di amare; è una domanda scomoda a cui,in molti, dovremmo rispondere in modo non troppo auto-gratificante.

In pochi amano se stessi e riescono ad amare il prossimo come se stessi.

Chiamiamo amore o amicizia il semplice condividere interessi comuni, la gratificazione reciproca, il proiettare sull'altro i nostri bisogni, tutte cose comprensibili, ma che non hanno molto a che fare con l'amore e l'empatia.

Dice Manicardi :"infantilismo relazionale e affettivo incapace di dare profondità agli incontri" , quanti di noi rientrano nella categoria? Almeno alcune volte?

Ogni incontro andrebbe celebrato, necessiterebbe di tutta la nostra attenzione e presenza mentre,invece, rimaniamo distanti, persi nei nostri solipsismi , nei nostri contorcimenti mentali.

Quante volte  perdiamo l'opportunità di un incontro "vero"? 

In questi giorni di semi lock-down prendiamoci il tempo di osservarci, di fare il punto della nostra capacità relazionale, in modo da essere pronti a reincontrare il prossimo, quando si potrà, in modo sano e autentico!


sabato 14 novembre 2020

"Quando incontri dopo tanto tempo una persona con la quale hai condiviso un pezzo di vita, della quale hai addirittura creduto di essere innamorato, è inevitabile che ti sembra diversa. È cambiata, come cambiamo tutti, e questo ti appare normale. Poi, a volte, se osservi con attenzione, se non distogli lo sguardo, ti rendi conto con sgomento che quella persona non è diversa. È la stessa, almeno nei tratti sostanziali. Era nel passato in cui vi eravate incrociati, che ti era sembrata diversa. Proiettavi su di lei i tuoi desideri, le tue aspirazioni e i tuoi bisogni. In un certo senso te l’eri inventata, l’avevi creata, ti eri raccontato una bugia complessa, articolata e difficile, molto difficile da svelare."(G. Carofiglio- La misura del tempo -ed Einaudi)

Leggendo il bel legal thriller di Carofiglio ho trovato questa frase di squisita profondità psicologica(oltre a varie altre che impreziosiscono il testo, come gli altri dell'autore) che colpisce subito nel segno: ci raccontiamo un sacco di storie, mentiamo a noi stessi!

Quando si dice che il nostro ego ci fa vivere in una sorta di sogno(o incubo) e che dobbiamo risvegliarci(divenire Buddha) significa smettere di raccontarci storie e di vedere la realtà per ciò che è.

Questa sensazione ben descritta da Carofiglio è comune a molti , incontrando amici o amori del passato provi una situazione di sfasamento e disagio, come se la persona non fosse èpiù la stessa, mentre ciò che è radicalmente cambiato è la nostra proiezione. Possiamo accorgercene o negarlo a noi stessi , possiamo imparare dall'esperienza o ,come più spesso capita, venirne fuori dando la colpa al tempo passato.

Noi ,in realtà, creiamo l'altro in base ai nostri bisogni/proiezioni, senza vedere chi l'altro sia veramente e questo in ogni tipo di rapporto, finanche con i maestri spirituali.

Qualche tempo fa ho avuto uno scambio con un giovane praticante buddhista, devotissimo al proprio maestro, che mi contestava il mio disincanto verso i "maestri", comprensibilissimo vista la giovane età e la non lunghissima esperienza di Dharma....da buon "innamorato" proiettava i suoi bisogni/aspettative sull'insegnante, mentre io, da vecchia volpe spelacchiata, riconosco le proiezioni che mettevo in atto(ai miei tempi).

Smascherare i nostri meccanismi proiettivi è un ottimo modo per uscire dai meccanismi nevrotici e dalle coazioni a ripetere relazionali, ad imparare ad incontrare gli altri in modo più autentico.

Il vero amore è quello che ama l'altro in quanto altro e non come immagine che deve rispondere ai nostri bisogni e aspettative, si basa sul capacità di vedere la realtà dell'altro e di accettarla.

Troppo spesso rincorriamo i nostri sogni , senza mai cercare di svegliarci.

Ovviamente è tutto molto umano, troppo umano, ma inevitabilmente foriero di frustrazione e sofferenza come ci insegna il Buddha.

Carofiglio colpisce nel segno, come spesso sanno fare gli scrittori, smaschera un meccanismo perverso in cui spesso cadiamo e che dobbiamo scardinare per poter trovare un minimo di equilibri e verità nei nostri rapporti.

giovedì 12 novembre 2020

 


BUDDHISMO E VITA QUOTIDIANA è pronto, è già in vendita sul sito di Xenia e a giorni in tutte le librerie fisiche e digitali.....

Mi chiedo se interesserà a qualcuno....






sabato 7 novembre 2020

 Ricordo una frase di Marcello Mastroianni, già anziano:"mi piace ancora cenare con gli amici, perchè dovrei morire?" Mi è tornata in mente in questi giorni funestati dalla morte di così tante persone, famose e non, di covid e di altro.E' una domanda che sorge in ognuno di noi che ancora prova piacere nel vivere e che, però,prima o poi dovrà confrontarsi con l'inevitabile.

Invecchiando dicono che il tempo passi più velocemente, spesso ci troviamo ad avere corpi da vecchi e ancora pensieri da ragazzi ed è un pò disorientante.

Nella tradizione tibetana c'è tutta una serie di insegnamenti e pratiche connesse con la morte e il morire e con il percorso per giungervi nel modo "giusto", le ho praticate ,le ho studiate, ma mi chiedo se quando sarà il momento saprò mollare del tutto l'ego e veleggiare verso la chiara luce o se mi attaccherò con le unghie allo specchio della vita come un patetico gatto Silvestro(quello dei cartoni).

In questo preciso momento la luce radente dell'incipiente tramonto incendia la chioma dell'acero, francamente faccio fatica a pensare di non godere più di questo spettacolo, così come del "bacio" bavoso del mio canne, della mail di un amico/a ,della musica, della letteratura e anche del mio scrivere insensato.Faccio fatica ,ma dovrò staccarmi da tutto ciò con in cuore solo un GRAZIE , che poi è il mantra/preghiera più vero e bello.

Dobbiamo però prepararci e la pratica è un modo per goderci pienamente la vita per poi lasciarla andare pieni di gratitudine e pienezza e dovremmo aiutare gli altri a fare lo stesso.

Se tutto ciò che stiamo vivendo grazie al nostro virus può avere un senso è quello di spingerci a vivere sempre più totalmente nel qui ed ora per poi staccarci con grazia, dobbiamo sfruttare anche questa situazione come insegnamento e invito alla pratica.

Ogni attimo, ogni respiro andrebbero goduti pienamente fino in fondo , perchè unici, irripetibili e preziosissimi.

In fondo la pratica spirituale sta tutta qui, nel vivere in gratitudine e pienezza ogni cosa e, proprio per questo, nel sapercene staccare! 

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