venerdì 15 giugno 2018

RELAZIONI
Qualche anno fa, fu chiesto a un maestro Buddhista  in che modo stava vivendo il suo divorzio,sorrise appena e rispose:”come tutti gli esseri umani!”
Le relazioni, con i partner, i figli, gli amici, i colleghi, i genitori e non ultimo i maestri ,sono situazioni faticose, vere e proprie palestre psicologiche in cui siamo costretti a confrontarci profondamente con noi stessi, con le nostre ferite e i nostri fallimenti.
Charlotte Joko Beck diceva: “ i rapporti non funzionano” intendendo che tutti noi abbiamo una pletora di aspettative/proiezioni/immagini idealizzate sui vari tipi di rapporto che non ci permettono di far sì che funzionino.Al fondo c’è il famoso meccanismo del: “ se almeno…..”
Se almeno mio figlio studiasse di più, se almeno il mio capoufficio fosse più gentile, se almeno il mio maestro fosse più illuminato ecc……..allora sarei felice…..
Le relazioni nascono dal bisogno, intrinseco nell’essere umani, di specchiarci negli altri per poterci meglio conoscere e per crescere psicologicamente; è inutile nasconderci dietro approcci pseudo-ascetici, le relazioni, TUTTE LE RELAZIONI, nascono da un bisogno , conseguentemente tendono al suo appagamento portandoci inevitabilmente verso la sofferenza.
Se , come quasi sempre accade, siamo in buona parte inconsapevoli del nostro bisogno e lo proiettiamo tutto sull’altro:lei deve amarmi, lui deve essermi fedele, lui deve prendersi cura di me ….poniamo le basi del fallimento relazionale.
Quando cerchiamo la gratificazione dei nostri bisogni fuori di noi , proiettiamo sull’altro un’immagine idealizzata di ciò che dovrebbe essere , di come dovrebbe essere  costringendolo/a  a recitare una parte che corrisponda alle nostre aspettative; ricordate John Travolta che un film impersonava un angelo, però un angelo mal vestito , con le piume delle ali mal messe….ad un certo punto  quello di cui avrebbe dovuto essere l’angelo custode gli dice che non è un angelo molto credibile e lui risponde: “non sono quel tipo di angelo”.
In fondo tutti noi dovremmo poter dire: non sono quel tipo di marito. Quel tipo di padre ,quel tipo di figlio o quel tipo di Maestro.
Sogyal rimpoche , arrivato in Inghilterra, si trovò ben presto pressato dalle aspettative “monastiche” di molti allievi……lo volevano casto, dolce e accogliente, sempre meditativo,finchè un bel giorno li affrontò direttamente dicendo: “non sono un monaco, ho vari difetti e mi piacciono pure i films  di james bond …..se vi vado bene così,andiamo avanti, in caso contrario avete sbagliato posto e io non ho intenzione di recitare una parte, castrandomi, per compiacervi!”Ecco  un buon modo per  smascherare i giochi proiettivi.
Va da sé che non possiamo vivere senza relazioni, sono la base del nostro essere umani e è altrettanto chiaro che nessuno è completamente consapevole delle proprie nevrosi, quindi dobbiamo accettare il rischio della relazione  pur sapendo che ,il più delle volte ,non funzionerà.
Contemporaneamente possiamo praticare per imparare a conoscere i nostri meccanismi egoici , smascherarli e accettarli, perché senza accettazione , senza amorevolezza per se stessi, limiti inclusi, non è possibile accettare quelli altrui.
Accettare spesso, dei discorsi di dharma, viene reso con : Letting go (lasciar andare) mentre credo che : letting be(lasciar essere) sarebbe assai più preciso…..non è questione di lasciar andare via( che ha un po’ del rifiuto, anche se in forma ammorbidita) le nostre ombre, ma lasciarle essere accogliendole con gentilezza e humour.
Nessuno è perfetto, anzi la perfezione sta nell’imperfezione, una perfetta imperfezione, perché la vita è quella che è e non deve essere “migliorata”, come diceva Panikkar è di per sé “sensuosa” cioè contemporaneamente sensata e sensuale…..anche se straordinariamente piena di sofferenza .
La pratica meditativa non serve a migliorarci e a migliorare le nostre vite e relazioni , ci permette di accettarci e di accettare le vita e le relazioni per quello che sono e è già tantissimo, anche se pare deludente a fronte delle nostre aspettative “salvifiche”.
Anche nella relazione con i maestri dovremmo imparare a riconoscerli come umani e quindi perfettamente imperfetti e smettere di immaginarli come delle semi-divinità, sarebbe di aiuto a noi e a loro.
La cosiddetta illuminazione è una cosa domestica, è qualcosa che ha a che fare col nostro essere uomini e col nostro essere vivi, niente di trascendente o divino , è solo aprire gli occhi su noi stessi e sulla vita.

Intanto che cerchiamo di risvegliarci dal sogno dell’io , continuiamo a vivere le nostre relazioni il più pienamente possibile , pur consapevoli, che il nostro io farà di tutto per farle fallire…..ma anche questo è vita!

mercoledì 6 giugno 2018



Parliamo tanto di voler vivere una vita appagante e appagata. A volte mi chiedo se questo di per sé non sia una fonte di avidità che finisce in una vita traboccante di troppe sfide e attività.
È stato Thomas Merton a dire che caricarsi di  troppe cose, cercare di risolvere troppi problemi del mondo e voler porre fine  alla sua sofferenza diventa una vita di violenza. Contro noi stessi e contro la vita così com'è........è un fatto.
Abbiamo spesso questo delirio di diventare "realizzati" ,di avere un vita "piena e significativa"parametrando il tutto a immagini ideali prive di reale costrutto.....Davvero pensiamo di poter essere come Milarepa, come San Francesco o Madre Teresa?
La vita è ciò che è: fare la spesa, pagare le bollette, amare, arrabbiarsi, fallire, riuscire, godere, soffrire,ecc.ecc. ,come diceva Panikkar è di per sè "sensuosa" , cioè sensata e sensuale,tutto il resto è sogno egoico.
Come dice Eve Marko:Sto iniziando a vedere che la fame di significato e di realizzazione può anche essere una trappola., La mia versione del materialismo spirituale

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