RELAZIONI
Qualche anno fa, fu chiesto a un maestro Buddhista in che modo stava vivendo il suo
divorzio,sorrise appena e rispose:”come tutti gli esseri umani!”
Le relazioni, con i partner, i figli, gli amici, i colleghi,
i genitori e non ultimo i maestri ,sono situazioni faticose, vere e proprie
palestre psicologiche in cui siamo costretti a confrontarci profondamente con
noi stessi, con le nostre ferite e i nostri fallimenti.
Charlotte Joko Beck diceva: “ i rapporti non funzionano”
intendendo che tutti noi abbiamo una pletora di aspettative/proiezioni/immagini
idealizzate sui vari tipi di rapporto che non ci permettono di far sì che
funzionino.Al fondo c’è il famoso meccanismo del: “ se almeno…..”
Se almeno mio figlio studiasse di più, se almeno il mio
capoufficio fosse più gentile, se almeno il mio maestro fosse più illuminato
ecc……..allora sarei felice…..
Le relazioni nascono dal bisogno, intrinseco nell’essere
umani, di specchiarci negli altri per poterci meglio conoscere e per crescere
psicologicamente; è inutile nasconderci dietro approcci pseudo-ascetici, le
relazioni, TUTTE LE RELAZIONI, nascono da un bisogno , conseguentemente tendono
al suo appagamento portandoci inevitabilmente verso la sofferenza.
Se , come quasi sempre accade, siamo in buona parte
inconsapevoli del nostro bisogno e lo proiettiamo tutto sull’altro:lei deve amarmi,
lui deve essermi fedele, lui deve prendersi cura di me ….poniamo le basi del
fallimento relazionale.
Quando cerchiamo la gratificazione dei nostri bisogni fuori
di noi , proiettiamo sull’altro un’immagine idealizzata di ciò che dovrebbe
essere , di come dovrebbe essere
costringendolo/a a recitare una
parte che corrisponda alle nostre aspettative; ricordate John Travolta che un
film impersonava un angelo, però un angelo mal vestito , con le piume delle ali
mal messe….ad un certo punto quello di
cui avrebbe dovuto essere l’angelo custode gli dice che non è un angelo molto
credibile e lui risponde: “non sono quel tipo di angelo”.
In fondo tutti noi dovremmo poter dire: non sono quel tipo
di marito. Quel tipo di padre ,quel tipo di figlio o quel tipo di Maestro.
Sogyal rimpoche , arrivato in Inghilterra, si trovò ben
presto pressato dalle aspettative “monastiche” di molti allievi……lo volevano
casto, dolce e accogliente, sempre meditativo,finchè un bel giorno li affrontò
direttamente dicendo: “non sono un monaco, ho vari difetti e mi piacciono pure
i films di james bond …..se vi vado bene
così,andiamo avanti, in caso contrario avete sbagliato posto e io non ho
intenzione di recitare una parte, castrandomi, per compiacervi!”Ecco un buon modo per smascherare i giochi proiettivi.
Va da sé che non possiamo vivere senza relazioni, sono la
base del nostro essere umani e è altrettanto chiaro che nessuno è completamente
consapevole delle proprie nevrosi, quindi dobbiamo accettare il rischio della
relazione pur sapendo che ,il più delle
volte ,non funzionerà.
Contemporaneamente possiamo praticare per imparare a
conoscere i nostri meccanismi egoici , smascherarli e accettarli, perché senza
accettazione , senza amorevolezza per se stessi, limiti inclusi, non è possibile
accettare quelli altrui.
Accettare spesso, dei discorsi di dharma, viene reso con :
Letting go (lasciar andare) mentre credo che : letting be(lasciar essere)
sarebbe assai più preciso…..non è questione di lasciar andare via( che ha un
po’ del rifiuto, anche se in forma ammorbidita) le nostre ombre, ma lasciarle
essere accogliendole con gentilezza e humour.
Nessuno è perfetto, anzi la perfezione sta
nell’imperfezione, una perfetta imperfezione, perché la vita è quella che è e
non deve essere “migliorata”, come diceva Panikkar è di per sé “sensuosa” cioè
contemporaneamente sensata e sensuale…..anche se straordinariamente piena di
sofferenza .
La pratica meditativa non serve a migliorarci e a migliorare
le nostre vite e relazioni , ci permette di accettarci e di accettare le vita e
le relazioni per quello che sono e è già tantissimo, anche se pare deludente a
fronte delle nostre aspettative “salvifiche”.
Anche nella relazione con i maestri dovremmo imparare a
riconoscerli come umani e quindi perfettamente imperfetti e smettere di
immaginarli come delle semi-divinità, sarebbe di aiuto a noi e a loro.
La cosiddetta illuminazione è una cosa domestica, è qualcosa
che ha a che fare col nostro essere uomini e col nostro essere vivi, niente di
trascendente o divino , è solo aprire gli occhi su noi stessi e sulla vita.
Intanto che cerchiamo di risvegliarci dal sogno dell’io ,
continuiamo a vivere le nostre relazioni il più pienamente possibile , pur
consapevoli, che il nostro io farà di tutto per farle fallire…..ma anche questo
è vita!