domenica 21 agosto 2022

Proprio l'altro giorno mi chiedevo come può essere che dopo un paio di mesi di trasmissioni ad ogni ora sulla guerra in Ucraina ormai non se ne parli quasi più.....l'orrore non è finito, continua eppure ci siamo abituati, assuefatti, così come ai disastri causati dal cambiamento climatico, dal razzismo, dalle discriminazioni ecc. 

La  nostra gentilezza amorevole(maitri) si ottunde e finiamo per non provare più compassione  per niente e nessuno, l'orrore diventa banale normalità , non ci tocca più.

Stavo pensando a questo e trovo questo articolo di Recalcati che si pone la stessa domanda e incita e continuare a testimoniare l'orrore affinchè non subentri l'assuefazione......se vi va di leggerlo.

 Massimo Recalcati

Testimoniare l’orrore

La Stampa, domenica 31 luglio 2022

Un amico oncologo mi raccontava il suo stupore nel non sentirsi più di tanto coinvolto nei drammi

dei suoi pazienti di fronte alla malattia. «Il tempo - mi spiegava - è come se avesse disattivato le mie

emozioni». Accade anche con ogni esperienza di lutto: il fattore tempo è determinante per spegnere

il bruciore inizialmente insopportabile della perdita. «Impossibile continuare senza, ma impossibile

non continuare senza», scriveva Beckett. Ma quello che avviene nelle pieghe più intime della nostra

vita privata si ripete anche nella dimensione pubblica della nostra vita collettiva. Un esempio fra tutti

è quello della guerra in Ucraina. Le maratone televisive e i servizi giornalistici febbrili dei primi tempi

hanno lasciato il posto ad una informazione tristemente routinaria. Della guerra in sé si tende a non

parlare più, a non dedicarvi più la nostra attenzione se non per le conseguenze dirette che essa provoca

sulle nostre vite: aumento delle bollette, caro vita, maggiore precarietà economica e sociale, futuro

incerto. È scattato quel meccanismo di assuefazione psichica che ha coinvolto anche il mio amico

oncologo.

Freud ne parlava proprio a proposito della guerra e dell'indifferenza alla quale essa costringe gli esseri

umani di fronte ai numerosi cadaveri anonimi che genera quotidianamente. Il peso emotivo che la

vista del cadavere di una persona affettivamente cara può provocare sembra scomparire.

L'assuefazione è l'effetto di un distanziamento psichico finalizzato alla neutralizzazione di un fattore

giudicato perturbante. Ma, in realtà, questo distanziamento è, a sua volta, l'effetto di un'eccessiva

prossimità inconscia all'oggetto dell'angoscia. Accade anche allo psicoanalista che quotidianamente

è esposto all'incontro con la sofferenza dei suoi pazienti. Lacan, non a caso, paragonava la sua 

funzione a quella di una discarica: raccogliere ed evacuare il peggio, il negativo, l'insopportabile. Il

fenomeno dell'assuefazione è un fenomeno di difesa dal trauma: l'abitudine vorrebbe poter ridurre lo

scandalo - indigeribile psichicamente - di ciò che accade. Avviene anche di fronte alla violenza di

ogni genere: anziché restare storditi, colpiti, offesi dalla brutalità e crudeltà del male, esiste

nell'umano un'insidiosa tendenza all'adattamento, all'assimilazione di ciò che non può essere affatto

assimilabile. Avviene con la fame nel mondo che più che una piaga che mobilita il dovere civile del

soccorso, viene percepita come se fosse una fatalità naturale. Avviene con la violenza razzista, con

quella femminicida, con gli incidenti sul lavoro e in tante altre occasioni della nostra vita collettiva.

Come indicano diversi antropologi, la nostra civiltà dello spettacolo tende a trasformare ogni evento

in una sorta di apparizione televisiva o cinematografica, destinata a scadere di interesse in tempi

sempre più brevi per gli spettatori annoiati dal "già visto", quali, in fondo, tutti noi tendiamo ad essere.

La guerra in Ucraina resta un evento in sé al limite del concepibile, indigesto, scandaloso, ma il

sistema della comunicazione sa bene che il carattere eccezionale di tutti i fenomeni che divengono

oggetto assiduo di informazione tende a durare sempre di meno, dunque, a generare meno audience.

L'assenza di risposta allo stimolo è infatti un fenomeno comportamentale tipico di ogni fenomeno

dell'assuefazione. Ora, dopo il tempo della guerra, è il turno della campagna elettorale a polarizzare i

nostri interessi. È quello lo spettacolo che ha inevitabilmente calamitato l'attenzione dei media. Col

rischio però che vi sia assuefazione anche nei confronti della nostra vita politica. Non a caso

assuefazione e disaffezione, come mostra il fenomeno dell'astensionismo elettorale, possono essere

due facce della stessa medaglia. Eppure cosa c'è di più coinvolgente – in senso letterale – della vita

politica? I nostri interessi personali e collettivi ne sono profondamente toccati. Ma questo dato di

realtà non è sufficiente e rischia di non essere nemmeno percepito. Accade lo stesso con una guerra,

che nonostante sia esplosa nel cuore dell'Europa, non è in grado di disinnescare il fenomeno

dell'assuefazione. Assuefazione diviene infatti sinonimo di assimilazione; il carattere indigeribile

della guerra viene rimosso rendendo la guerra parte del nuovo paesaggio dell'Europa. Sembrerebbe

inverosimile ma è proprio quello che sta accadendo. Del resto, in pagine divenute giustamente celebri,

Primo Levi, parlando della tragedia della vita nei campi di sterminio, mostra quanto la spinta

dell'umano all'adattamento in condizioni di vita inverosimili possa raggiungere vertici tenebrosi. Per

questa ragione ammonisce sulla necessità di testimoniare con tenacia l'orrore, per impedire che esso

si ripeta e per scongiurare anche il rischio di assuefarsi alla sua esistenza. È, infatti, solo la

testimonianza insistita dell'orrore a riconoscere l'orrore come tale impedendo la sua assimilazione

assuefatta. —

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