venerdì 4 ottobre 2019

RELAZIONI
Visione basata sulla speranza della eternità
L’eternità è una delle nozioni a cui noi siamo affezionati, che ci incoraggiano nella nostra vita. Sentiamo che finché vi è eternità ci sarà eterna comunicazione. In un modo o nell’altro ci sarà una continuità senza fine a dare significato alle cose: uno sfondo spirituale o un’atmosfera di speranza trascendentale.
Difficilmente riusciamo a capire quanto questo atteggiamento influenzi il nostro modo di affrontare le relazioni. Quando al liceo diventiamo buoni amici di qualcuno, automaticamente ci aspettiamo che l’amicizia duri per sempre. Può accadere che quindici anni dopo aver costruito una capanna con un amico si possa ancora festeggiare il nostro cameratismo osservando con quanta abilità abbiamo costruito la struttura, le giunzioni, i chiodi usati, e così via.
Molte relazioni si sono formate sulla base di qualche dolore comune o qualche compito affrontato insieme. Tendiamo a tenere in gran conto questo comune dolore o compito: li rendiamo il pegno della relazione. Oppure incontriamo qualcuno in situazioni di comune e vivo interesse dove la comunicazione scorre senza ostacoli e celebriamo questa fluidità come se ci proteggesse da un comune nemico. In ogni caso il dolore o la fluidità assumono una qualità leggendaria nella relazione.
‘Essere buoni amici’ ci fa credere di esserlo per sempre. Vi aspettate che la persona con cui siete legati verserà miele sulla vostra tomba; altrimenti vi sentirete ingannati. Lotterete e starete in continua tensione per mantenere splendente la vostra eterna amicizia e ciò produrrà una enorme fatica nella relazione. questo è il modello di relazione presentato dalle tradizioni teistiche, cristiana o indù. Avere una tale relazione è considerato un comportamento come Dio ha comandato o come l’essere più vicini all’esempio stesso dell’ amore di Dio, che è eterno.
Il concetto di eternità è stato frainteso; è stato usato come prova della profondità della nostra relazione, della nostra immortale amicizia. Tendiamo a credere che qualcosa abbia da durare per sempre e perciò la veneriamo come qualcuno potrebbe venerare un pezzo di filo di ferro arrugginito, famoso per essere stato parte del recinto di una nota battaglia della prima guerra mondiale. Noi lo veneriamo per il nostro concetto di eternità, piuttosto che per il suo significato. Ironicamente, esso diventa in realtà una profonda testimonianza proprio per la fondamentale verità dell’impermanenza.
Nelle società influenzate in modo assai profondo da un punto di vista non teistico come quelle buddhiste o confuciane, la relazione è più un modo di comportarsi e di integrità che non l’approccio ad un modello di divina eternità. Vi è minor senso di colpa, ma rimane un senso di rettitudine o di sincerità. Nel contesto borghese invece, la relazione sembra basarsi su un modello derivato da antiche strutture di baratto. Nella situazione commerciale del baratto c’è più coinvolgimento che non in quelle in cui c’è scambio monetario: si dà qualcosa di valore e si riceve qualcosa di valore in cambio. Ma questo approccio ha ancora come sfondo il concetto di eternità e la venerazione di antichi modelli di relazione.
Visione basata sulla paura della morte
Sfiducia e incertezza nell’eternità sorgono quando incominciamo a pensare a ciò che, indipendentemente dalla nostra volontà, potrebbe andare storto nella relazione - o ciò che potrebbe andar bene. Vi è un’ombra di inevitabile caos o morte. Temendo lo sviluppo indipendente e spontaneo della relazione, noi cerchiamo di ignorare le nostre effettive emozioni e la nostra diretta volontà. Le persone coraggiose lo fanno quasi consciamente caricando la relazione di un senso di missione o di dogma. Le persone codarde ci si confrontano invece secondo un travisamento inconscio.
In generale, la strategia coraggiosa ha meno successo di quella dei codardi nel creare una relazione ‘ideale’. Questo approccio dogmatico può aver successo solo riaffermando continuamente a un amico o un partner che una posizione fondamentalmente illogica, è logicamente sostenibile. È richiesto un lavoro di costante manutenzione della magnifica costruzione. La persona meno valorosa ma più diligente compie invece l’intera impresa senza neppure confrontarsi col partner sulle più importanti questioni: scarica continuamente il senso di morte su una miriade di piccole cose. Il partner si dimentica di rimettere a posto il coperchio della bottiglia di ketchup, oppure spreme il tubo del dentifricio dalla parte sbagliata. La colpa sta in tutte queste piccole cose.
A dispetto delle credenze filosofiche o religiose nell’eternità, vi è un senso di costante minaccia di morte, a cui la relazione è definitivamente condannata. Coraggiosi o timorosi, noi siamo intrappolati in questa data situazione, mettendo continue toppe per sopravvivere.
Al di là di speranza e paura
Dare un gran peso alla relazione è letale: come se, nel tagliare una cipolla, stessimo più attenti al coltello che all’atto di tagliare. È probabile che ci taglieremo le dita. Quando cominciamo a realizzare ciò, il senso di impotenza ci fa sussultare. Punti di vista o atteggiamenti non ci aiutano. Non sono altro che un guscio. La visione teistica che crede ingenuamente nell’eternità e la visione borghese delle buone maniere e della dignità sono entrambi solo dei giochi convenzionali lontani dalla concretezza della situazione. Gli adagi sulle relazioni, tipo ‘la pazienza è una virtù’ oppure ‘la morte piuttosto che il disonore’, non sono solo i prodotti della convenzione; essi sono in se stessi puramente convenzionali.
L’idea di relazione deve cadere a pezzi. Quando realizziamo che la vita è l’espressione della morte e la morte è l’espressione della vita, che la continuità non può esistere senza la discontinuità, allora non vi è più bisogno di afferrarci ad una ed aver paura dell’altra. Non c’è più nessuna base per i coraggiosi o per i vigliacchi. Si vede che la relazione è l’assenza di ogni e qualsiasi punto di vista.
Potremmo pensare che una tale relazione è solo per coloro che sono spiritualmente avanzati, ma in realtà questo è proprio un fatto normale e ordinario. Ogni punto di riferimento concettuale diventa distruttivo. In realtà noi cominciamo a sospettare che la relazione non esista. Ma non c’è bisogno di preoccuparsi: questa non-esistenza continua come una potente base generatrice di ulteriori relazioni. Tale accortezza è ancora un punto di vista, ma è un punto aperto alle sorprese, non è come vivere nella speranza di un’eternità. È anche diversa da una totale sfiducia che non permette al candore della relazione di esprimersi. Se un patto di fiducia genera ulteriore sfiducia, la cautela nella fiducia può invece fornire un enorme calore e genuine relazioni

DA INSEGNAMENTI DI TRUNGPA RIMPOCHE

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