domenica 14 luglio 2019



Ci sono insegnanti, soprattutto in area zen,taoista e advaita(ma non solo), che enfatizzano il non parlare di zen, di budhhismo,di illuminazione  ecc. se non durante gli insegnamenti formali, tutto il resto è bollato come gossip spirituale o come gioco egoico.
Di per sè il discorso è anche giusto, il dharma va vissuto e non "parlato" , però non dobbiamo dimenticarci che la parola è il sistema comunicativo principale per l'uomo(con tutti i suoi limiti) e quindi la testimonianza del nostro vissuto deve passare " anche "dalle parole.
Perchè poi solo il maestro può parlarne?
Non può essere che un dialogo fra allievi sia stimolante quanto, se non più, di un insegnamento formale?
Non si rischia di tornare a vetero-cattoliche abitudini per cui il sacro testo può essere commentato solo dal prete?
Certo il rischio dell'allievo che "se la tira" e vuole fare lo show ci può essere, così come di una esagerata intellettualizzazione  ed è giusto bloccarle, ma senza esagerare.
In fondo anche atteggiarsi al sapiente taciturno può essere una posa, i giochi egoici sono presenti ovunque e pure  i maestri, a volte, ci inciampano.
Errare humanum est, non bisogna dimenticarlo e non è una tragedia, dagli errori si impara e poi nessuno può pretendere di essere perfetto.
Forse è solo questione di equilibrio, di buon senso e anche di umiltà.
Se uno sceglie di condividere la propria esperienza( e quindi fare l'insegnante/maestro), lo fa nei suoi modi, con i suoi strumenti , ben consapevole che l'esperienza è tutta interiore e personale e quindi difficilmente comunicabile;fa del suo meglio, indica la luna ed è già tanto.
Un pòdi semplicità, umiltà e buon senso non fanno certo male a qualsivoglia insegnante , buddhista, cristiano o di qualunque disciplina ,spirituale e non!



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