giovedì 21 febbraio 2019
lunedì 11 febbraio 2019
L’equanimità viene talvolta descritta come una spaziosa
tranquillità della mente, una calma radiosa o un equilibrio interiore. Tuttavia
questo saldo equilibro non è qualcosa di lontano o distante dalla vita, ma si
sviluppa all’interno della nostra disponibilit à e capacità di andare incontro
a tutti i momenti della vita con eguale rispetto, compassione e sensibilità.
Per incontrare tutti i momenti della nostra vita con eguale
rispetto dobbiamo rinunciare a essere favorevoli o contrari a qualcosa,
rinunciare al rigetto e al perseguimento, alla ricerca e al rifiuto. Nella tradizione tibetana l’equanimità viene
descritta come qualcosa ugualmente vicina a tutte le cose, come un precursore
della compassione, uno dei suoi aspetti essenziali.
Per sapere cosa significa rimanere tranquilli e aperti in
mezzo alla sofferenza, dobbiamo in qualche modo rinunciare alle nostre idee su
cosa sia giusto o sbagliato, su ciò che si dovrebbe o non si dovrebbe fare, in
modo da poter ascoltare senza timore dolore e sofferenza.
Sembra che per ascoltare con attenzione la storia di
un’altra persona o la storia della vita, dobbiamo in certa misura calmare la
nostra stessa storia. Si dice anche che l’equanimità preceda la retta azione e
la retta parola.
Ci rendiamo conto che le risposte che fanno realmente la
differenza in questo mondo raramente nascono dall’agitazione, dalla paura o dal
desiderio.
Le reazioni realmente differenti in questo mondo nascono
dalla tranquillità e dall’equilibrio. Non credo che sia utile pensare sempre
all’equanimità come a una condizione o un luogo poiché non è qualcosa che
raggiungiamo e in cui poi ci ritiriamo.
L’equanimità è in realtà un continuo viaggio. La nostra vita
non rimane congelata nel tempo per cui niente cambia più; l’equanimità deve
rimanere fluida come la nostra vita, come un modo di andare incontro alla
nostra esistenza mutevole, al nostro corpo e alla mente cangianti e a tutti gli
eventi che ci capitano.
È facile convincerci che questo tipo di tranquillità
interiore e di equilibrio siano irraggiungibili. Potremmo pensare che sia
troppo difficile, se non impossibile, rimanere equilibrati e fermi nel bel
mezzo di tutti i momenti estremi della vita. Ma io credo che ci basta solo un
breve momento di riflessione per sapere quanto sia ben più duro essere
continuamente persi nei due estremi di amore e odio, felicità e disperazione,
dell’essere favorevoli o contrari a qualcosa.
Equanimità, almeno in inglese, non è una parola che viene
usata molto spesso. Raramente incontriamo qualcuno e gli diciamo: Ho avuto una
giornata profondamente equanime.. Ci sono altre parole nel nostro vocabolario
che usiamo molto più spesso:
Mi piace molto questo, mi piace molto quest’altro. Non vedo
l’ora che arrivi domani, oppure ne ho paura.. Se vogliamo drammatizzare, diciamo:
.Ho veramente bisogno di questo o sono assolutamente contrario a quest.altro..
Se incontrate un amico che non avete visto da tempo e vi chiede come state,
spesso la sua domanda apre la porta a un fiume di racconti di tutti gli eventi
che ci sono accaduti.
Diciamo: .Ho avuto un periodo tremendo ., oppure .La vita è
stata entusiasmante!., .Mi sono innamorato . oppure .Sono stato veramente
triste.. Se dicessimo: .Non è accaduto nulla e la mia mente e il cuore sono
rimastiimpassibili. L’equilibrio e l’equanimità sono stati la mia casa. Ci
sembrerebbe di presentarci come delle persone noiose e tristi che verranno
trascurate o ignorate.
Un modo di concepire la nostra vita è quella di vederla come
un interminabile flusso di eventi, in cui un fatto segue a un altro. La nostra
vita è simile a un grande fiume che nasce come una piccola sorgente che giunge
in superficie e che s’ingrossa sempre di più. E nel corso del fiume ci saranno
punti in cui l’acqua è quieta e punti in cui ci sono delle rapide. Vi saranno
zone in cui l’acqua scorre lenta che però potranno trasformarsi in cascate.
Come non potremmo decidere di fermare il fiume così non
possiamo pensare di fermare il sorgere e passare degli eventi nella nostra
vita. Non possiamo scegliere di avere solo i periodi di calma e probabilmente
non siamo nemmeno sicuri di volerlo. Non potremmo nemmeno scegliere di rimanere
sempre in acque agitate. Nel corso della nostra vita avremo tutti la nostra
razione di lodi e rimproveri, approvazione e disapprovazione, guadagno e
perdita, momenti di piacere e di dolore. In questa tradizione, per descrivere
gli eventi nel corso della vita, si parla degli otto dharma mondani. In
generale vi sono gli estremi di felicità e dolore, gli estremi di disperazione
e speranza, di desiderio e avversione.
Se pensiamo a tutti gli accadimenti di una singola vita,
quelli che il Buddha chiama le diecimila gioie e dolori, molti di questi eventi
sembrano quasi essere stati creati per farci perdere l’equilibrio. Non penso
che possiamo nemmeno immaginare di raggiungere un punto della nostra vita in
cui avremmo una corazza o una difesa che ci tenga a distanza dal mondo degli
eventi. Non penso che si possa immaginare di raggiungere un punto della nostra
vita in cui diremmo: .Ora è tutto sotto controllo. Non sarò mai più sorpreso
dal cambiamento. e che in qualche modo l’ordine e la prevedibilità siano stati
raggiunti.
La sola cosa su cui possiamo realmente contare in questa
vita è che niente ci apparterrà veramente, niente rimarrà e niente sarà immutato.
Questo lo vedo spesso nell’insegnamento quando faccio un discorso di Dharma e
poi ricevo alcuni commenti entusiastici e altri assolutamente tiepidi o
critici.
Certamente possiamo ottenere approvazione in questa vita e
quindi trascorrere momenti o addirittura ore compiacendoci con noi stessi,
dicendoci quanto siamo meravigliosi, mentre solo alcune ore più tardi possiamo
vergognarci se qualcuno ci disapprova. La nostra bella meditazione, il nostro
grande amore, lo stato di salute, la nostra gioventù, tutte queste cose possono
andare perdute e talvolta si trasformano in qualcosa di meno gradito.
Anche il piacere può trasformarsi rapidamente in dolore. Una
donna che abita in una cittadina vicina, mi disse che dopo lo tsunami in cui
era morto il figlio, aveva ricevuto una sua cartolina in cui le scriveva: .Sono
in paradiso, questo è il periodo migliore della mia vita.. I cambiamenti tra
piacere e dolore non sono sempre così distruttivi.
Possiamo gustare il canto degli uccelli e poi arriva sulla
strada il camion dei rifiuti. Un momento possiamo essere occupati da una
piacevole fantasia e il momento dopo trovarci in un incubo di ossessioni.
Possiamo anche notare che il dolore talvolta si trasforma in gioia. Possiamo
essere persi in qualche tremendo spazio limitato, ne possiamo uscire e
ritrovarci all.improvviso profondamente toccati dalla vista del sole al di
sopra degli alberi.
Il dolore del corpo che pensiamo sia interminabile, d’un
tratto si trasforma in un grande senso di benessere. Penso che ripetutamente
nella vita sperimentiamo come il senso di equilibrio appare così fragile, così
precario e nonostante ciò continuiamo a respirare, il nostro cuore batte ancora
e rimaniamo presenti nella nostra vita. Talvolta penso che ci chiediamo come i
nostri cuori possano assorbire questo continuo flusso di eventi senza andare in
pezzi. Ci chiediamo come poter trovare l’equanimità che ci permetta di andare
incontro a tutti questi eventi con eguale rispetto. Ci chiediamo anche quanto
profondamente possiamo capire che tutti i nostri sforzi di controllare
l’incontrollabile siano vani e facciano solo soffrire.
Per la verità, l’equanimità richiede la saggezza di un
Buddha. Non sono solo gli eventi esteriori della vita a richiederci di trovare
questa calma radicale, ma anche gli eventi interni delle nostre emozioni e
stati mentali.
Un paio d’anni fa mi trovavo in America durante le ultime
elezioni presidenziali. Ero con alcuni amici a guardare i primi risultati in
televisione. Era così interessante vedere come la serata era cominciata con un
po. di speranza, che poi si era gradualmente trasformata in disperazione, poi
era riemersa ancora un po. di speranza, mentre eravamo in attesa dei risultati
dell’Ohio, per essere poi definitivamente distrutta ancora. Ma la cosa evidente
era che in tutto il paese vi erano tante persone che guardavano lo stesso
evento e sperimentavano gli stessi alti e bassi in momenti completamente
opposti. Quindi la mia speranza significava la disperazione di qualcun altro e
quelle che per me erano cattive notizie erano buone per qualcun altro. Talvolta
ci chiediamo: .Equanimità significa che non avremo più emozioni o sensazioni?..
Penso di no. Vorrei leggervi qualcosa che forse alcuni di voi già conoscono.
Se riuscite a restare tranquillamente seduti dopo delle
cattive notizie, se in un momento di difficoltà finanziarie rimanete
perfettamente calmi, se vedete i vostri vicini fare un viaggio in paesi esotici
senza una fitta di gelosia, se riuscite a mangiare con soddisfazione qualsiasi
cosa vi si metta nel piatto, se riuscite ad amare incondizionatamente quelli
che vi circondano, se potete addormentarvi dopo una giornata impegnativa senza
prendere una bevanda alcolica o una pillola, se potere essere sempre contenti
dovunque vi troviate, siete
probabilmente un cane.
L’equanimità non è l’assenza di sensazioni bensì la presenza
di equilibrio nel mondo delle sensazioni. Vediamo ora qual è l’elemento di
saggezza dell’equanimità. La prima pietra angolare dell’equanimità è la nostra
disponibilità e capacità di abbracciare la realtà dell’impermanenza e la nostra
capacità di farlo dipende dalla nostra disponibilità.
Possiamo comprendere veramente che in ogni cosa che sorge vi
è la storia della sua scomparsa e della sua morte, con i suoi momenti di fama e
disgrazia, di amore e odio, di guadagno e perdita. Nessuno di questi si può
afferrare in quanto fanno tutti egualmente parte del tessuto dell.impermanenza.
Lo sappiamo e tuttavia è lì che abbiamo l’amnesia più grande. Sempre è un
pensiero che abbiamo spesso. Vogliamo che qualcosa duri per sempre oppure
temiamo che sia per sempre. Se non abbracciamo l’impermanenza ci perdiamo
nell’avversione e nella resistenza o ci perdiamo nello sforzo di trattenere e
mantenere eventi che stanno già passando. In entrambi i casi siamo egualmente
persi nella dimenticanza del cambiamento.
Quando cadiamo nei due estremi di cercare di mantenere
qualcosa o di liberarcene, sacrifichiamo la nostra capacità di essere
egualmente vicini a tutte le cose e di andare incontro a tutti i momenti con lo
stesso rispetto. Alcuni anni fa all’Insight Meditation Center, il centro negli
Stati Uniti dove insegno, c’era una serie di piatti di tutte le forme e colori
e delle tazze scheggiate con delle scritte sopra per cui lo staff aveva deciso
di sostituirli con dei semplici piatti bianchi. Questa semplice scelta dette
l’avvvio a una serie di commenti da parte dei meditanti: .Come posso rinunciare
alla mia tazza preferita? oppure Come
posso iniziare il ritiro così turbato?.. E ricordiamoci che si tratta di un centro
di Dharma in cui si danno continuamente insegnamenti sull’impermanenza.
Penso che non sempre ci rendiamo conto di quanto il nostro
sentirci equilibrati e calmi dipenda dal fatto che le grandi e piccole cose
della nostra vita rimangono immutabili. Ce ne rendiamo conto solo quando
cambiano.
E poi ci rendiamo conto di come questo filo
dell’attaccamento percorra tutta la nostra vita. Non ci mancano le opportunità
per contemplare l’impermanenza. Basta aprire i nostri cuori alla verità di un
singolo giorno, di una singola seduta, di una singola ora, e vedere quante
nascite e morti, inizi e fini. Allora ci chiederemo che cosa in realtà ci stia
insegnando tutto questo. Una lezione è che anche questo passerà e comprendere
ciò costituisce una delle pietre angolari dell’equanimità.
La seconda pietra angolare dell’equanimità è la comprensione
della natura della nostra intossicazione. Se qualcuno ci offrisse una tessera a
vita per le più alte montagne russe del mondo, all’inizio, anche in base al
nostro temperamento, potremmo pensare che si tratti di un bel regalo. Nei primi
giorni potreste provare l’eccitazione e il divertimento della corsa anche con
grande intensità. Ma provate a immaginare di doverlo fare, giorno dopo giorno,
per il resto della vita.
Immaginate tutta la vostra vita a Disneyland! Penso che dopo
un pò di tempo l’eccitazione comincerebbe a logorarsi. Ma in qualche modo
sembra che noi non perdiamo l’intossicazione di percorrere come fossero
montagne russe gli eventi della nostra vita, sia internamente che esternamente.
Con questo tipo di intossicazione l’equanimità scompare.
Allora penso che sia utile chiederci che cosa ci conduce a questa
intossicazione di intensità, cosa ci spinge ad attraversare la vita alla
ricerca di esperienze eccitanti sempre nuove, che cosa nutrono in noi gli
estremi di amore e odio, guadagno e perdita.
Credo che ci voglia solo un pò di consapevolezza per vedere
che il nostro senso dell’io, il nostro senso di chi siamo, è anch’esso un
evento che sorge e passa in innumerevoli forme differenti in una singola
giornata.
Pensate, ad esempio, a quanti diversi stati dell’io avete
sperimentato oggi: la noia, l’eccitazione, la fame, l’interesse, la monotonia,
l’irrequietezza. Pensate a quanti stati dell’io avete sperimentato nella vostra
vita: la felicità, la tristezza, l’andare da qualche parte, il non andare da
nessuna parte, essere giovane, essere vecchio, essere ansiosi ed eccitati.
Lo stato dell’io sorge e passa sempre ed è collegato a tutti
gli altri stati che sorgono e passano. Il nostro senso dell’io è un evento
unito a tutti gli eventi delle emozioni e dei pensieri, e fa parte del mondo
degli eventi esterni. Talvolta vediamo che lo stato dell’io è influenzato da un
fatto esterno. Ora che siete seduti qui nella sala e siete molto calmi, questo
è uno stato molto calmo dell’io. Poi all’improvviso la persona accanto a voi
comincia a tossire e starnutire e immediatamente vedete la reazione ansiosa e
avversiva dell’io in risposta a questo evento.
Talvolta gli avvenimenti esterni della nostra vita prendono
il sapore e colore dello stato interiore dell’io. Se vi è uno stato di tristezza o impazienza
dell’io, d’un tratto ogni cosa del mondo diventa potenzialmente irritante e
tanti di questi eventi sembrano sorgere dal nulla. La domanda da farci è: chi
saremmo al di fuori di questi eventi dell’io? Chi saremmo senza definire un
evento? La fonte della nostra intossicazione è il bisogno di avere un evento
per essere qualcuno, in quanto il pensiero di non essere nessuno ci è così
inconsueto e inquietante che vi opponiamo una forte resistenza.
In realtà non c’è fine agli eventi della vita che ci danno
la possibilità di essere qualcuno. Essere equanimi è la risposta alla domanda
di chi saremmo senza un evento che ci definisca.
c’è una splendida poesia nella tradizione Zen che dice:
10.000 fiori in primavera
la luna in autunno
una fresca brezza in estate
e la neve in inverno.
Se la vostra mente non è annebbiata da pensieri inutili,
questa è la stagione più bella della vostra vita. Le cose inutili sono le
nostre posizioni a favore o contro qualcosa, gli attaccamenti e le avversioni,
le paure e le aspettative. Le cose inutili sono le definizioni mutevoli
dell’io, senza le quali la nostra equanimità sarebbe ricca e profonda.
La terza pietra angolare della saggezza, che fa parte
dell’equanimità, è la comprensione profonda del rapporto con le sensazioni
(vedaná), che sono il secondo fondamento della consapevolezza. Vale a dire
riconoscere il piacevole come piacevole, lo spiacevole come spiacevole e il
neutro come neutro.
Quando non siamo consapevoli delle nostre sensazioni
muoviamo il primo passo verso l’intossicazione, verso lo squilibrio. Per
coltivare l’equanimità è necessario praticare quando non siamo equanimi, vale a
dire in quella gamma di sensazioni che sorgono. Nella vita ci sono molte
sensazioni piacevoli, quali suoni, pensieri, gusti e contatti, ma forse non ce
ne sono abbastanza rispetto ai nostri desideri. L’equanimità non richiede che
noi resistiamo al piacevole, che è la radice della gioia, della gentilezza
amorevole e dell’apprezzamento.
Ma il piacevole è anche il luogo in cui il desiderio intenso
può costruire la sua dimora, vale a dire quando accompagniamo il piacevole con
la mancanza, il bisogno, e quando ci perdiamo nell’evento del piacevole. È come
fare una passeggiata in un giardino in cui c’è molto di piacevole, come gli
alberi e l’erba.
Possiamo goderne, ma possiamo anche fare dei passi
ulteriori. Possiamo dirci: .Non tornerò in quella sala buia., .Sposterò il mio
cuscino all.esterno., .La prossima volta che verrò porterò con me il mio libro
sugli uccelli in mododa poterli identificare tutti., .Forse porterò la
merenda..
Tutto ciò che abbiamo elaborato sul desiderio, quando ci
dimentichiamo del cambiamento e dell’intossicazione, è che abbiamo trasformato
il piacevole in un progetto o in un evento che vogliamo rendere .nostro.. Nella
vita vi sono più sensazioni spiacevoli di quelle che vorremmo, ma le nostre
avversioni non ci proteggono dallo spiacevole e noi tendiamo a trasformare lo
spiacevole in un evento o in un progetto. Forse abbiamo voglia di uscire anche
se piove e ci diciamo che la prossima volta faremo un ritiro in Spagna. C’è
anche molto nella vita che è neutro, né piacevole né spiacevole. Il neutro è
l’evento più difficile cui l’io possa appigliarsi, perché nella condizione
neutra sembra che non accada nulla e pertanto la nostra risposta consueta a
tutto ciò è di dirci che è noioso. La vita va naturalmente avanti, invitando la
nostra presenza sensibile e pronta, ma ciò che scopriamo è il sentirci incapaci
di riposare in uno spazio senza eventi, per cui entriamo rapidamente nel moto
del desiderio, in modo da far accadere qualcosa.
Imparare a lasciare andare il desiderio, l’avversione e lo
spazio fra i due significa cominciare a coltivare l’equanimità, vale a dire
trovare quella calma radiosa che illumina e abbraccia tutte le cose, conoscere
veramente e profondamente che in questo momento non manca nulla.
Ciò che si libera nel lasciar andare è la nostra capacità di
incontrare tutti i momenti della vita con la stessa attenzione. Trovare
l’equilibrio è una pratica, e per farlo abbiamo bisogno di provare interesse
per i momenti in cui lo perdiamo. Il sentiero dell’equanimità non è separato
dal mondo della sofferenza e del caos, in quanto vi fonda le sue radici. In
tutti i momenti in cui troviamo il coraggio e la fermezza in mezzo al
cambiamento e alla sofferenza, impariamo che possiamo abbracciare questo mondo
di eventi senza esserne sopraffatti e senza provare amarezza o paura.
La pratica dell’equanimità è assolutamente centrale nel
cammino della compassione.
È una profonda e imperturbabile calma interiore.
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